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Ormai da anni c’è un valore che tormenta il mondo intero: 1,5 °C. Dietro a questo numero apparentemente insignificante in realtà si cela un dato inquietante. Facendo un passo indietro nel tempo, è dalla prima rivoluzione industriale che l’essere umano sta avendo un impatto significativo sull’ambiente che lo circonda.
Il pianeta si sta scaldando in modo importante a causa dell’effetto dei cosiddetti gas serra, come la CO2, il metano, il protossido di azoto ecc., emessi in atmosfera. Gas che contribuiscono, come detto, a creare un “effetto serra” e un conseguente riscaldamento globale.
Da allora la temperatura media è aumentata di circa 1 °C e oggi ne patiamo le conseguenze, come eventi climatici catastrofici e innalzamento del livello medio dei mari. Da dove nasce, allora, il valore di 1,5 °C? È l’aumento massimo stimato dalla scienza sostenibile per il nostro pianeta senza che gli eventi diventino irreversibili, rendendo davvero difficile la sopravvivenza dell’umanità così come oggi la conosciamo.
Il punto di partenza
Oggi, senza interventi significativi, si presuppone che la temperatura media aumenterà di 3 °C nei prossimi anni. Troppi, evidentemente. È chiaro quindi che sia necessario invertire la rotta e ridurre la quantità di gas serra emessi. Ma a quanto ammontano le emissioni totali? Nel 1990 sono state circa 20 miliardi le tonnellate di CO2 equivalenti emesse in tutto il pianeta. Si utilizza la dicitura “CO2 equivalente” per uniformare l’unità di misura e, a prescindere da quale sia il gas in questione, convertirlo sulla base di una scala che definisce l’equivalenza complessiva rapportata alla CO2 stessa. La cifra è salita fino a circa 34 miliardi nel 2010 e, dieci anni dopo, questo valore è rimasto sostanzialmente invariato, tendente a una leggera riduzione. Una inversione di rotta è quindi in atto, ma non è sufficiente. Per limitare l’aumento massimo a 1,5 °C, è necessario sostanzialmente azzerare le emissioni equivalenti di CO2 entro il 2030/2040. In altre parole, occorre decarbonizzare l’attività umana.CO2 e decarbonizzazione
Abbiamo visto come l’immissione di gas serra in atmosfera contribuisca all’innalzamento della temperatura media globale. Ma quali sono le attività che rilasciano CO2? Sostanzialmente tutto ciò che facciamo. A grandi linee, circa metà è dovuto alla produzione dell’energia che consumiamo per qualsiasi attività, il 20% è legato alla mobilità e ai trasporti, mentre altri gas (come il metano e il protossido di azoto) derivano dall’agricoltura e dall’allevamento animale. Dal World Energy Outlook 2021, il rapporto della Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), emerge chiara la necessità di puntare sulla decarbonizzazione della produzione di elettricità in modo da portare i mercati energetici globali verso l’impatto zero entro il 2050. Il tema della sostenibilità è dunque di grande attualità, come ha dimostrato il recente COP26 svoltosi a Glasgow. La pressione è alta e molte nazioni stanno lavorando sodo per creare i presupposti per una crescita sostenibile. Ma cosa significa essere sostenibili? Questa filosofia è stata inizialmente abbracciata da alcune realtà (spesso grandi multinazionali) più per questioni di immagine e marketing che di effettiva opportunità di business. Sostenibilità e redditività correvano su binari paralleli, talvolta persino puntati in direzioni diverse. Oggi chi è partito per tempo può vantare programmi concreti e ben sviluppati di sostenibilità, utili sì per una maggiore redditività, ma non solo. Aziende con queste caratteristiche si dimostrano anche più attrattive nei confronti degli investitori e dei migliori talenti. Tra le aziende che hanno imboccato questa strada ormai da molti anni c’è Schneider Electric. Il concetto di sostenibilità è scritto nel DNA dell’azienda: la missione, infatti, è dare a tutti la possibilità di sfruttare al meglio risorse ed energia, coniugando progresso e sostenibilità.“Essere un’azienda sostenibile, con un business sostenibile, è il perno della nostra strategia. Clienti, dipendenti, partner, investitori non sono mai stati tanto attenti ai temi di governance ambientale e sociale quanto lo sono oggi. – ha sottolineato Jean-Pascal Tricoire, Presidente e CEO di Schneider Electric – “Quando abbiamo attivato il nostro primo ‘barometro di sostenibilità’ nel 2005 siamo stati tra i primi a scegliere di farci guidare da un approccio attento alla governance ambientale e sociale”.Schneider Electric, infatti, è impegnata sin dal 2005 nell’identificazione dei parametri legati alla sostenibilità. Oggi, nelle proprie comunicazioni al mercato, l’azienda riporta sia i più tradizionali numeri legati a ordini, fatturato e redditività, sia i traguardi raggiunti e le ambizioni future in tema di sostenibilità. Il gruppo sta lavorando da tempo per ridurre il proprio impatto ambientale, efficientando tutte le proprie sedi (uffici e reparti produttivi), utilizzando energia di provenienza certificata rinnovabile e impegnandosi nell’azzeramento della propria carbon footprint. Il risultato? Nel 2021 Schneider Electric è stata valutata prima al mondo da un importante media canadese specializzato nell’analisi dei parametri di sostenibilità tra le top corporate. Oggi l’azienda è in grado di proporre lo stesso percorso ai propri clienti, mettendo a loro disposizione soluzioni, prodotti e servizi per migliorare efficienza e sostenibilità. Attraverso la propria offerta, i clienti di Schneider Electric hanno ridotto le proprie emissioni di CO2 per un totale di oltre 320 milioni di tonnellate.
Essere sostenibili: un bene per l’ambiente e per le aziende
Se ben gestita, la sostenibilità non rappresenta un vincolo o una minaccia, ma una opportunità. Occorre gestire al meglio tutte le variabili in gioco e identificare le azioni più corrette da compiere, ma in definitiva significa fare efficienza, consumare meno e meglio. Partire con un percorso di sostenibilità all’interno di una azienda significa anche misurarne le performance per capire se la strada è coerente con gli obiettivi stabiliti. Ecco quindi che entrano in gioco temi quali l’innovazione e la digitalizzazione. Non sorprende, quindi, che le aziende che si pongono obiettivi di questo tipo ottengano maggiori profitti e siano più longeve e resilienti rispetto alla concorrenza. Sono infatti più innovative, più pronte alla trasformazione digitale, a mettersi in gioco e a pensare fuori dagli schemi. Inoltre attirano clienti: che si tratti di consumatori o di altre aziende, l’attenzione nei confronti della sostenibilità è oggi molto elevata. Questo trend è ancora più evidente con le nuove generazioni, molto attente a simili dettagli, all’impatto di ciò che fanno e che comprano. Non ultimo, le aziende sostenibili attraggono i migliori talenti. È una conseguenza di quanto appena evidenziato: i giovani sono molto attenti a questi temi e valutano con maggior favore le realtà che lavorano in questa direzione.Gli strumenti a disposizione
Per venire a capo di questo complesso contesto, politica e istituzioni hanno messo a disposizione strumenti e fondi per favorire la decarbonizzazione. L’Europa stessa ha definito una chiara strategia in tal senso: entro il 2030 almeno il 30% della produzione di energia elettrica dovrà provenire da fonti rinnovabili, mentre sempre entro quella data le emissioni di gas serra andranno ridotte del 55%. Obiettivi ambiziosi, ma le opportunità non mancano: sono ben 750 miliardi gli euro messi a disposizione per finanziare il Next Generation EU Recovery Plan, che in Italia si traduce in oltre 70 miliardi di incentivi nell’ambito del PNRR. La sostenibilità sarà dunque il requisito chiave per accedere a tali incentivi.Misurare la sostenibilità
Le emissioni non sono tutte uguali: GreenHouse Gas Protocol è un protocollo che stabilisce quali siano gli standard in quest’ambito. Come misurare la CO2 equivalente prodotta? Quanto conta quella dei fornitori? È necessario tenere in considerazione anche quelle indirette? Per questo il GreenHouse Gas Protocol ha previsto quelli che vengono definiti “scopi”: 3 distinte categorizzazioni legate alle emissioni di gas serra.- Scopo 1 – Si tratta di tutte le emissioni dirette di una azienda, cioè quelle prodotte per realizzare un bene, come gli impianti industriali, per riscaldare e raffreddare gli uffici ecc. Sono queste le emissioni che possono essere gestite facendo più efficienza.
- Scopo 2 – Sono le emissioni indirette, generate attraverso l’acquisto di vettori energetici (come elettricità, teleriscaldamento, vapore ecc.). Se questa energia è prodotta utilizzando fonti fossili, sarà responsabile dell’immissione di una determinata quantità di CO2 in atmosfera. Per l’energia di derivazione rinnovabile (come l’eolico, il fotovoltaico ecc.) la quantità di CO2 generata in modo indiretto sarà decisamente inferiore. Schneider Electric, ad esempio, da diversi anni utilizza per i propri uffici e per gli stabilimenti produttivi solo energia rinnovabile.
- Scopo 3 – Occorre infine considerare anche la carbon footprint della propria filiera. Quali sono le emissioni dei fornitori di prodotti e componenti che si acquistano? È un altro valore che, nel bilancio complessivo, occorre prevedere.
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